L’esperienza di Rebecca Valbusa in Africa grazie alla Fondazione Giuseppe Tovini ETS è diventata protagonista de “La vita vera”.
Nell’ambito della dodicesima edizione del Premio in memoria del professor Giuseppe Mattei, voluto dalla Fondazione Giuseppe Tovini ETS in collaborazione con CeTAmb, l’elaborato di Rebecca Valbusa della classe V B del Liceo Artistico Foppa è risultato vincitore della sezione “Esperienze di educazione alla cooperazione internazionale”, riservata agli studenti delle Scuole Secondarie di Secondo Grado.
Lo riportiamo interamente qui sotto, orgogliosi dell’esito della nostra studentessa.
La vita vera
“Posso affermare di essermi innamorata dell’Africa per puro caso, anni fa, quando amavo scrivere storie di narrativa ispirate alle varie tradizioni religiose del mondo, informandomi particolarmente sul cristianesimo, il buddhismo e i numerosi miti africani. Ricordo vividamente di quando ero poco più che una bambina, di fatto non molti anni fa, e parlavo per ore delle divinità del Sudan con la mia amica più cara, il cui lavoro dei sogni è sempre stato diventare una missionaria.
A entrambe luccicavano gli occhi mentre immaginavamo tribù congolesi vivere senza alcun tipo di innovazione tecnologica e a pieno contatto con la natura, le proprie tradizioni e la famiglia. Sognavamo entrambe di essere nate là e di prendere parte a riti sciamanici intorno a un fuoco, ballare scalze sulla terra rossa e suonare strumenti intagliati nel legno.
Per puro caso, per noi due è sempre stato normale parlare di Africa, ovviamente con una presa di consapevolezza, durante la crescita, riguardo le condizioni socio economiche del continente in via di sviluppo, fino a quel momento immaginato esclusivamente con gli occhi dell’innocenza.
Ho sempre ammirato il coraggio necessario per voler dedicare la propria vita agli altri della mia amica d’infanzia e quando quasi un anno fa mi si è presentata l’opportunità di poter intraprendere un’esperienza del genere con la fondazione Tovini, mi sono sentita in torto a vivere il suo sogno, ma parlandone con lei l’ho ammirata ancora di più, in quanto non era altro che felice per me.
Questo viaggio ha rappresentato una straordinaria opportunità di riscatto personale in un periodo non molto luminoso della mia adolescenza, non vedevo l’ora di partire e scappare. Era da molto tempo che non provavo un’emozione simile, di tensione e fervore, tanto da contare alla rovescia i giorni mancanti alla partenza.
Il viaggio di trasferta ha richiesto 12 ore di volo e 16 di autobus circa, ma ripartirei volentieri domani mattina, se potessi. Nonostante fosse oltre un giorno di viaggio, perfino ascoltare il passare del tempo protendersi mi pareva interessante, probabilmente perché normalmente sono spesso distratta dall’uso del telefono.
Siamo arrivati venerdì sera e abbiamo potuto impegnare il tempo libero del weekend a esplorare Kilolo. Insieme agli altri ragazzi e agli accompagnatori, abbiamo conosciuto adolescenti della scuola superiore e i bambini delle elementari. Quando ci siamo trovati immersi in una lingua a noi totalmente sconosciuta, durante una messa cantata in Swahili, mi sono sentita sprofondare tanto ero impaurita dalla barriera linguistica; ho ben presto constatato che di fronte alla musica e alle danze aggraziate dei chierichetti non potevo non sentirmi a casa e partecipe di una grande famiglia.
Una volta ritornati nell’alloggio della fondazione Tovini, noi ragazzi abbiamo organizzato i turni settimanali di pulizia e cucina, in modo da essere autosufficienti, e preparato attività per dare lezioni di ripasso in inglese ai bambini della scuola elementare. È stato incredibile constatare quanto i bambini siano pieni di vita, con gli occhi brillanti di energia dopo aver corso il doppio o addirittura il triplo di quanto io sarei capace, tenendo in considerazione quanto l’aria sia rarefatta a 1800m.
I pomeriggi sono stati tranquilli e autogestiti, organizzando giochi di gruppo o dedicandosi al bucato, alla pulizia o alla cucina. La casa era infatti sprovvista di lavastoviglie, lavatrice o aspirapolvere, di fatto elettrodomestici che in molte parti del mondo sono ancora considerate un lusso.
Spesso non ci rendiamo conto della quantità di cibo, acqua ed energie che il nostro corpo impiega per vivere una singola giornata. Posso immaginare i locali, così impegnati a vivere da non avere molti altri pensieri; letteralmente dal detto africano “hakuna matata”, “Senza pensieri”. Quasi li invidio, perché la maggior parte dei miei problemi, o che etichettavo erroneamente come tali, erano prodotti solamente dalla mia testa e per molto tempo ho desiderato di acquisire la capacità di non pensare.
Una mattina che rammento in particolare è quella legata all’asilo di Ilamba, dove ho conosciuto una bambina albina chiamata Brina. L’albinismo è molto più diffuso in Africa, particolarmente in Tanzania, che nel resto d’Europa e molti genitori sono convinti sia frutto di una maledizione.
Ho amato quella bambina appena l’ho vista, il suo viso sempre rivolto in basso per evitare la luce del sole, tenendosi vicino ai muri degli edifici, rifiutando gli inviti di gioco degli altri bambini. Le ho voluto infinitamente bene appena mi ci sono seduta di fronte, nel momento in cui ho ricordato la solitudine della mia infanzia. I suoi occhi erano così grandi, gialli e verdissimi, di fatto i più belli che io avessi mai visto. Kilolo mi ha affascinato tanto, ma io sarei restata lì in quell’asilo solamente per lei, per diventare sua amica o sua maestra.
Questo viaggio mi ha aperto gli occhi davanti alla vita: essa è costituita essenzialmente d’amore e di contatti instaurati tra persone e, fino a quel momento, avevo sottovalutato la potenza che un’affermazione del genere potesse avere, ritrovando il piacere in oggetti o hobby, e sentendomi vuota senza di essi.
Anche il media di conoscenza dei miei compagni di viaggio è stato completamente inusuale e ritengo che mi abbia portato a stringere rapporti veri fin da subito. Mi sono aperta con i miei coetanei cucinando, sturando lo scolo della doccia e lavando la nostra biancheria, traendo conclusioni dai gesti delle mani, delle spalle, dallo sguardo degli occhi e, pure nei momenti di silenzio, mi sembrava che il corpo in movimento di ognuno continuasse a comunicare con un proprio linguaggio riconoscibile a vista.
Ritengo che la vita sia maggiormente costituita da espressioni e gesti, invece che da parole, e “lavorare” insieme, anche se in semplici mansioni quotidiane, mi ha portato a stringere i rapporti più veri che io avessi mai instaurato così velocemente, anche se con la maggior parte del gruppo non ho continuato la corrispondenza dopo il viaggio.
Auguro a tutti di intraprendere quest’esperienza almeno una volta nella vita per trovare sé stessi e mi piange il cuore ripensando all’indifferenza mostrata dai miei compagni di classe e, con maggiore sorpresa, anche dalla maggior parte dei miei amici.
La domanda “Com’è andata in Africa?” mi è stata rivolta spesso con un certo imbarazzo, certo ho apprezzato la cortesia, ma il distacco nella voce e negli occhi mi ha allontanato. In casi come questi, ho preferito dare risposte vaghe e tenere per me il mio racconto, perché raccontare “Com’è andata in Africa” sarebbe stato come ritrovarmi improvvisamente nuda davanti all’interlocutore. Al contrario, un mio conoscente si è mostrato inaspettatamente molto interessato e mi ha chiesto se potessi parlargli della mia esperienza di persona.
Ho raccontato tutto esclusivamente alla mia amica d’infanzia aspirante missionaria e penso che sia stata l’unica ad avermi capito veramente. Mi sono chiesta se per tutta la vita anche lei abbia sentito lo stesso amore per la missione come io lo sto raccontando adesso.
Non posso nascondere di essere stata delusa dal disinteresse comune e dagli occhi che sfuggono per la noia, quando ogni tanto racconto qualche aneddoto, ma posso comunque rallegrarmi di quei pochissimi coetanei che hanno mostrato pieno interesse e si sono sentiti seriamente motivati a intraprendere il cammino del volontariato.
Per quanto riguarda i miei progetti futuri, sono sempre stata molto ferma sulla mia ambizione scolastica e lavorativa, ma non ho ancora confessato a nessuno del folle desiderio che ogni tanto mi attanaglia: ripartire di nuovo, sapendo di non tornare più. Guardando le stelle nel giardino della casa di Kilolo ho sentito sulla mia pelle il profumo dell’erba, del vento e perfino del cielo, rendendomi conto di cosa sia la vita vera.
La felicità che ho provato là non l’ho più ritrovata a casa, anzi, mi si presenta tutto così freddo e indifferente, dalle persone agli edifici, e il cibo non ha più un sapore così vero, i pensieri non sono più i miei. L’Africa ha un sentore di magico, di fatto non conosco neanche una singola persona, che dopo averla visitata o vissuta, non ne sia rimasta profondamente ammaliata.
Sono sicura di portarmi nel cuore questo viaggio per tutta la vita e non vedo l’ora di cercare un’altra possibilità per cimentarmi in esperienze simili in futuro, più volte possibili. Inoltre, sprono tutti i miei coetanei a eliminare i pregiudizi e partecipare al bando promosso dalla fondazione Tovini nelle scuole superiori bresciane e bergamasche, perché solo quando si è tornati a casa si comprende quanto sia importante capire così tanto su se stessi e sulla vita in un’età così giovane”.
Rebecca Valbusa, Liceo Artistico Foppa – V B, indirizzo Arti Figurative