Con Sofia, Giulia, Alberto e Corinne approfondiamo alcuni fenomeni legati al bullismo. Sexting e revenge porn, flaming e harassment sono alcuni tra i comportamenti lesivi più diffusi e gli studenti hanno approfondito alcune delle loro caratteristiche.
Sexting…
Da definizione, il sexting è una sfaccettatura del bullismo che riguarda l’invio di messaggi a sfondo sessuale, e a volte può comprendere anche una forma di estorsione o di vendetta, come nel caso del “revenge porn”.
Esso di per sé non è illecito, se viene messo in atto da adulti consenzienti, ma lo diviene quando viene compiuto coinvolgendo persone minorenni: l’articolo 600-ter del Codice penale prevede la reclusione da 6 a 12 anni e una multa da 24.000 €a 240.000 € per chiunque realizzi esibizioni o spettacoli pornografici o produca materiale pornografico con minori di 18 anni.
Il sexting solitamente ha quindi come vittima minori oppure persone che non sono coscienti durante l’atto di registrazione del materiale. La vittima prova solitamente vergogna dopo la pubblicazione dei video in cui è coinvolta e può arrivare a pensare di avere una reputazione distrutta e dunque a isolarsi per l’imbarazzo. Sono stati registrati alcuni casi più gravi in cui le persone sono arrivate anche al suicidio.
Il bullo appare assolutamente vendicativo e perverso e la vittima risulta inferiore e messa in imbarazzo pubblicamente.
Secondo il mio parere, il sexting può risultare molto pericoloso poiché si può arrivare facilmente da una chat relativamente normale con alcuni messaggi spinti a video o foto sensuali, che dopo la rottura della relazione, per la via del rancore di uno dei due, purtroppo, possono finire in rete.
…e revenge porn
Il termine sexting è formato dal sostantivo sex (sesso) e dalla forma verbale texting (inviare SMS), e denota l’invio di messaggi, immagini o video a sfondo sessuale oppure sessualmente espliciti.
Si tratta di un fenomeno non necessariamente negativo, ma che può rivelarsi altamente rischioso per chi ignora o, peggio, sottovaluta, le conseguenze e le ripercussioni che la condivisione di materiale sensibile, come la propria intimità, potrebbe avere sulla propria immagine, o addirittura sulla propria vita sociale e lavorativa.
Il sexting è un fenomeno nato con la diffusione dei nuovi dispositivi digitali, tramite i quali è di fatto possibile effettuarlo. Infatti, è per questo motivo che tale fenomeno interessa soprattutto gli adolescenti della nuova generazione, i quali, in questa età di scoperta del proprio corpo, si ritrovano a dover lottare con la paura di non piacere e il desiderio di essere accettati. Avendo dunque bisogno di più sicurezza in se stessi, il fatto che il proprio corpo riceva apprezzamenti diventa un modo per sentirsi più sicuri di sé.
Finché c’è il consenso da ambo le parti, sia a ricevere che a inviare materiale sensibile, non vi sono troppi rischi nel farlo. Diventa un problema quando, per esempio, a farlo sono adolescenti di età inferiore ai 18 anni, perché la condivisione di materiale da parte di minorenni, anche se volontaria e consenziente, implica che le parti coinvolte siano in possesso di materiale pedopornografico, il che rappresenta un reato. Allarmante è il fatto che, soprattutto gli adolescenti sottovalutino le reali conseguenze che la diffusione di materiale sensibile può comportare. Infatti essi scambiano materiale intimo, subendo la condivisione con terzi senza consenso e spesso per scherzo.
Questa pratica può comportare gravi conseguenze che hanno però un impatto non solo nel mondo virtuale, ma anche in quello reale. La diffusione incontrollabile e non consensuale di foto e video sessuali può nuocere alla reputazione di chi è ritratto, creando così problemi con nuovi partner o influenzando perfino i futuri rapporti di lavoro.
Le conseguenze del sexting
Nel momento in cui una foto o un video lascia il proprio telefono e raggiunge quello di un altro utente, si è perso il controllo su quel contenuto. Questo accade perché tutto ciò che si condivide in rete è quasi sempre impossibile da rimuovere. Qualcuno potrebbe aver già scaricato e diffuso il contenuto su altre piattaforme o averlo inviato ad altre persone e così le vittime non avranno mai la possibilità di eliminarlo definitivamente dal web.
Infatti, anche dopo anni dalla condivisione, le immagini sensibili potrebbero comparire di nuovo ed essere visualizzate dal tuo datore di lavoro, dai tuoi amici o dai tuoi cari.
Il vero problema del sexting sono le conseguenze per la privacy personale e l’identità della persona coinvolta poiché, nei casi peggiori, la diffusione di contenuti sessuali online può esporre a rischi come la violenza privata, il sextortion, il cyberbullismo e il revenge porn.
Per prevenire tali conseguenze, molti genitori insegnano ai propri figli semplicemente che non lo devono fare. Si tratta di un modo di affrontare questa delicata tematica che, personalmente, trovo temporaneo e inefficace, poiché vietarlo e basta potrà anche funzionare per un periodo, in quanto esso rappresenta un divieto imposto dall’autorità parentale.
Cosa fare per ridurre i fenomeni di revenge porn?
Una volta cresciuto, l’adolescente vorrà comunque sperimentare cose nuove e fare nuove esperienze e il fatto di non essere stato istruito ed educato a riconoscere i rischi che la condivisione nel mondo digitale rappresenta, è una grave problematica. Per questo il dialogo è fondamentale: bisognerebbe promuovere il dialogo con esperti con il fine di sensibilizzare i giovani sui rischi e pericoli dietro alla condivisione di materiale digitale sulle piattaforme social utilizzate.
Se invece il danno è stato fatto, ovvero si è già condiviso materiale privato, bisogna agire al più presto, mantenendo la calma, e confidarsi con un adulto o una amico per chiedere un consiglio e sostegno, per poi avvisare subito le autorità per cercare di ridurre di danno, richiedendo per esempio l’oscuramento del materiale digitale.
Personalmente credo che, al fine di ridurre i rischi legati al sexting, bisognerebbe intervenire in modo più radicale. Si potrebbe magari raggiungere un accordo con le aziende proprietarie dei social network e delle altre piattaforme digitali, affinché impongano maggiori restrizioni legate alla condivisione con terzi, negandola in caso di mancanza del consenso verificato da parte del proprietario del materiale condiviso.
Flaming
Con il termine flaming vengono indicati messaggi elettronici, violenti e volgari, mirati a suscitare “battaglie” verbali online tra due o più contendenti. Il potere è però bilanciato e non sempre è presente una vittima (come nel tradizionale bullismo) per una durata temporale determinata dall’attività online condivisa.
Spesso in ambito di videogiochi vengono presi di mira gli utenti con meno esperienza e che quindi commettono errori criticati dagli altri utenti.
C’è anche da aggiungere che, in questi casi, una lunga sequenza di messaggi insultanti e minacciosi (flame war) potrebbe, in alcuni casi, precedere una vera e propria aggressione nella vita reale.
Secondo me molto spesso non ci sono motivazioni valide dietro a questi comportamenti, che vengono messi in atto in un momento di rabbia per sentirsi e farsi vedere superiori rispetto all’altra persona presa in causa.
Se prendiamo come esempio la situazione citata precedentemente sui videogiochi, l’utente preso di mira non ha motivo di essere bersagliato per la sua inesperienza, anche perché tutti gli altri sono stati come lui tempo prima. A questo si dovrebbe pensare prima di agire e si dovrebbero mettere in atto meccanismi che vadano a creare una discussione sempre più grande e con sempre più persone coinvolte.
Harassment
Harassment alla lettera significa “molestie”: si tratta di un un tema molto ampio e complesso, che consiste in discriminazioni basate sul sesso, che sono sicuramente le più diffuse, ma anche su religione, paese d’origine, orientamento sessuale e tanti altri aspetti . Una molestia di questo tipo si verifica online, quindi tramite messaggi seccanti e offensivi, nella maggior parte dei casi con il solo scopo di arrecare disturbo a chi li riceve; quando queste azioni si verificano ripetutamente allora si può parlare di bullismo.
A questo tipo di provocazione le persone reagiscono in modo differente a seconda dell’età della vittima, del contesto in cui si verificano, della loro ripetizione nel tempo, della motivazione per cui avvengono.
Una molestia è tale quando è palese che colui che riceve questi messaggi sia evidentemente contrario al loro invio e a volte può rispondervi per far smettere il mittente che però, proprio intuendo il disagio dell’altra persona, continua a ripetere queste azioni spesso anche più insistentemente, facendo leva sulla sua fragilità.
A mio parere colui che invia queste offese lo fa, da un lato, sicuramente per nuocere la tranquillità altrui, ma dall’altro, per provare per certi versi un senso di “controllo” nei confronti del destinatario: questo certamente è un comportamento malato, frutto sia di mancanza di principi e valori come il rispetto, ma anche di una grande arroganza e maleducazione, poiché chiunque compia azioni solo per importunare qualcun altro è estremamente prepotente e, in un certo senso, insensibile.
La vittima infatti, nel ricevere parole d’odio o comunque messaggi molesti, può sentirsi oppressa, sbagliata ma per alcuni aspetti anche violata, data la quantità di messaggi indesiderati che è costretta a subire e che possono crearle imbarazzo e insicurezza.
Le parole offensive, anche se dette da uno o più sconosciuti, non si dimenticano facilmente e non scompaiono una volta spento il telefono, ma rimbombano nella testa in maniera estenuante, avendo dunque un certo impatto nella vita di tutti i giorni, soprattutto nelle relazioni sociali.
Provando a mettermi nei panni dell’interessato, riesco ad immaginare quanto un’offesa, magari per qualcuno insignificante, possa risultare mortificante appena si ripresenta un’occasione che può far pensare ad essa, e riesco anche a percepire il senso di impotenza che si può provare, soprattutto dopo aver fatto presente la propria sensazione di disagio senza il giusto riscontro.
In situazioni di questo tipo suppongo che l’opzione migliore da considerare da parte della vittima sia quella di confrontarsi con persone a lei vicine che abbiano un’adeguata sensibilità per comprendere le circostanze e sostenere soprattutto moralmente la persona molestata, e credo inoltre che sia opportuno continuare a fare informazione nelle scuole per focalizzare meglio il problema in tutte le sue sfumature individuando le possibili soluzioni.
A mio avviso inoltre sarebbe interessante se la situazione venisse capovolta e il bullo provasse, per una volta, a mettersi nei panni della vittima: forse, finalmente, comprenderebbe il disagio che lui stesso arreca con il bullismo a qualcun altro; questo perché penso che soltanto vivendolo in prima persona riuscirebbe a liberarsi di quella cattiveria e insensibilità che lo portano a godere della sofferenza altrui.
Sofia, Giulia, Alberto e Corinne, Liceo Artistico Foppa – indirizzo Achitettura e Ambiente Quadriennale