L’avvocato Cavaliere illustra agli studenti la situazione delle carceri italiane, i principi dei processi penali e la sensibilizzazione dei giovani.
Nel corso dell’anno, alcune classi dell’Istituto Piamarta hanno avuto la possibilità di confrontarsi sui principi dei processi penali e sulle condizioni in cui versano le carceri italiane con alcuni avvocati delle camere penali di Brescia.
L’incontro è stato introdotto dalla visione di un video sulle carceri bresciane e si è sviluppato con la simulazione di un processo penale con tanto di giudici, pubblico ministero e avvocati difensori, tutti interpretati da noi studenti.
Alla conclusione dell’incontro molte erano le domande rimaste in sospeso: per fare chiarezza e approfondire la tematica abbiamo pensato di intervistare il Presidente della Camera penale di Brescia, l’avvocato Andrea Cavaliere, principale promotore dell’iniziativa.
In che cosa consiste il progetto che ci state presentando e perché avete scelto di seguire questo metodo d’approccio?
Il progetto nasce nel 2014, in seguito a un accordo tra il Ministero dell’Istruzione e l’Unione delle Camere Penali italiane: prevede di far entrare degli avvocati delle camere penali nelle scuole per spiegare ai ragazzi tutti i principi costituzionali legati al processo penale. Questo nell’ottica di un percorso che spiega ciò su cui fondamentalmente si basa la legalità.
Che cosa vi ha spinto ad iniziare il progetto?
Il motivo principale è la comprensione dell’importanza di trasferire ai giovani i principi e i valori democratici del vivere insieme, legati anche al concetto di comunità, non solo al concetto di processo penale, soprattutto in questo momento storico nel quale la società è pervasa da una spinta colpevolista e populista.
È proprio in questo momento storico che noi riteniamo importante parlare con i giovani per dare a loro un punto di vista diverso per approcciarsi a ciò che succede anche in relazione alla cronaca nera.
Lei pensa che sarebbe possibile per noi ragazzi andare a visitare delle carceri per poter effettivamente vedere in prima persona la situazione in cui si trovano i detenuti?
Come avvocato, penso che sarebbe un’iniziativa estremamente positiva quella di mettere a contatto i ragazzi con alcuni detenuti: sarebbe formativo vedere come vivono e ascoltare l’esperienza dei detenuti.
Sarebbe anche fondamentale per i detenuti percepire che c’è un interesse nei loro confronti e che quindi la società all’esterno non è qualcosa di diverso, ma comprende la loro situazione e cerca di avvicinarsi a loro.
Che cosa manca nelle carceri italiane che invece secondo lei dovrebbe esserci?
Questa domanda è legata alla precedente, nel senso che riteniamo fondamentale far capire ai giovani che il carcere non deve essere solo un luogo di punizione dove il soggetto che è stato condannato deve venire semplicemente punito, senza che lo si accompagni anche con un percorso di recupero.
È fondamentale che un carcere non si limiti ad essere un luogo di sofferenza, ma un luogo dove il soggetto che ha sbagliato possa comprendere il suo errore e possa migliorare per rientrare nella società come un soggetto diverso. Nello specifico il carcere di oggi, per poter essere un luogo adatto a questo tipo di percorso, deve principalmente fornire degli spazi adeguati per consentire ai detenuti di fare progetti lavorativi e di gruppo, in modo che, essendo maturati come persone, una volta usciti dal carcere possano evitare di commettere gli stessi errori.
L’ultima parte del video comprendeva la testimonianza di un ragazzo che era stato arrestato per possesso di droghe e parlava di come, nonostante avesse cercato di fare ammenda dei propri errori scontando la sua pena e aiutando la comunità, venisse comunque stigmatizzato dai media: di conseguenza era malvisto nella sua comunità, senza la possibilità di difendersi. Lei cosa pensa di questa situazione e del ruolo che i media ricoprono?
Questo è un problema molto delicato: il processo che si svolge sui mass media.
L’avvocato penalista dice sempre che l’unico luogo dove deve svolgersi il processo è il tribunale: nulla dovrebbe uscire, salvo quando la sentenza è definitiva. Quello che critichiamo è il processo massmediatico che parte fin dalla fase delle indagini.
Quando per esempio c’è un arresto, la notizia viene pubblicata subito sui giornali: la persona che viene arrestata, pur essendo innocente fino a sentenza definitiva, viene “sbattuta” in prima pagina come se fosse già responsabile, quindi la comunità individua in quella persona, in quanto arrestata, il colpevole del reato che gli viene addebitato. Succede molto spesso, però, che quella persona alla fine del suo percorso giudiziario venga assolta, ma ormai il danno è fatto: spesso la stampa dà meno risalto ad un’assoluzione, che magari interviene dopo anni, rispetto a quello che era stato il clamore della notizia all’inizio della vicenda.
Difficilmente viene concepito l’errore giudiziario come qualcosa che può accadere e può giustificare una vicenda processuale. Per la gente se viene iniziato un processo contro una persona, quella persona è colpevole. Dare in pasto all’opinione pubblica una persona in questo modo, determina che di fatto venga marchiata con il marchio infamante del colpevole, che farà molta fatica a togliersi, anche perché non può intervenire sui giornali, quindi non ha possibilità di difendersi.
Emanuele, Istituto Piamarta